Come faccio a… SVOLGERE LA PARAFRASI DI UNA POESIA

Cos’è la parafrasi?

La parafrasi è la riscrittura (o la rielaborazione orale) di un testo in termini più semplici allo scopo di renderlo più comprensibile senza però cambiarne né il contenuto né il significato.

La forma più diffusa è la parafrasi di un testo poetico. Essa, che è detta anche versione in prosa, è un operazione tipicamente scolastica, ma è un’ operazione importante ai fini della comprensione di una poesia: è, anzi, il primo passo verso la comprensione del suo contenuto.

Come si fa una parafrasi

Per fare la parafrasi di un testo, devi in pratica riscrivere totalmente il testo della poesia facendo in modo di:

– Ordinare le parole  all’ interno della frase secondo una successione sintattica regolare: soggetto-> predicato->complementi

Semplificare , all’interno dei periodi, le costruzioni sintattiche troppo complesse,riordinando le proposizioni a partire dalla principale,rendendo esplicite le subordinate implicite e chiarendo eventuali rapporti sintattici oscuri o complessi;

Sostituire le parole e le espressioni difficili- perché antiquate, letterarie, poetiche o rare -con parole ed espressioni della lingua d’uso;

Sciogliere e Spiegare le espressioni figurate, come le metafore, le antonomasia  e simili.  Così, un’espressione come “capelli d’oro” deve diventare “capelli biondi e splendenti come l’oro” e un’espressione come sei un Giuda” deve diventare “sei un traditore”.

Esempi

LA PIOGGIA NEL PINETO

da ALCYONE

 

D’Annunzio ricerca un rapporto pieno e diretto con la natura, una ricerca di sensazioni in una pineta bagnata dalla pioggia estiva, fra odori e rumori di una natura che procura gioia e che fa pensare alla vita. Accompagna il poeta Ermione, una donna idealizzata.

 

 

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove sui mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
sui ginestri folti
di coccole aulenti,
piove sui nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
l’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione. 

 
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come un foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancora trema, si spegne,
risorge, treme, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.

 

 

 

 

Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontane,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.

 

E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.

 

E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione

PARAFRASI

 

Taci. Sul limitare

del bosco non sento

le parole che dici

pronunciate da uomini ma ascolto

parole più nuove,

parlano le gocce di pioggia e le foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse nel cielo,

piove sulle tamerici

impregnate di salsedine e bruciate dal sole,

piove sui pini

dalle scorze ruvide e dalle foglie aghiformi,

piove sui mirti

sacri a Venere,

sulle ginestre splendenti

di  fiori gialli e raccolti,

sui ginepri pieni

di bacche odorose, piove sui nostri volti

diventati silvestri,

piove sulle nostre mani

nude,

sui vestiti leggeri,

sui freschi pensieri

che sgorgano freschi dall’anima

purificata,

sulla bella favola

che ieri

ti illuse e che oggi mi illude,

o Ermione.

Senti? La pioggia cade

sul fogliame

solitario degli alberi

con un rumore che è continuo

e varia nell’aria

a seconda che le foglie

siano più o meno folte.

Ascolta. risponde

alla pioggia il canto

delle cicale

che la pioggia arrecata dal vento australe

non spaventa,

né il cielo grigio.

E il pino

ha un suono, e il mirto

un altro suono e il ginepro

un altro suono ancora, strumenti

diversi

suonati da innumerevoli dita.

Noi siamo immersi

nello spirito

silvestre

e viviamo di una vita vegetale,

e il tuo volto inebriato

è bagnato di pioggia

come una foglia

e i tuoi capelli

profumano come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che ti chiami

Ermione.

 

Ascolta. ascolta. il coro

delle cicale che cantano all’aria e

che diventa a poco a poco

più debole

sotto la pioggia che aumenta;

ma un canto vi si unisce

più roco

che sale da laggiù:

da un punto lontano nascosto nel bosco.

Diventa più sordo e più debole,

rallenta e alla fine si spegne.

Si sente una nota sola,

trema, si spegne.

Non si sente il rumore del mare.

Ora si ode solo sulle foglie

scrosciare

la pioggia d’argento

che purifica,

il rumore varia a

seconda delle foglie

più o meno folte.

Ascolta.

La cicala ora

sta zitta, ma la rana

lontana,

figlia del fango

canta nella ombra più profonda,

chissà dove, chissà dove!

E piove sulle tue ciglia,

Ermione.

 

Piove sulle tue ciglia nere

così che sembra che tu pianga

di piacere, non pallida

ma quasi resa verdeggiante,

sembra che tu esca da un albero.

e tutta la vita in noi è fresca,

profumata,

il cuore nel petto è come una pesca

intatta,

tra le palpebre gli occhi

sono come sorgenti d’acqua tra le erbe,

i denti nelle gengive

sono come mandorle acerbe.

e corriamo per la selva

ora insieme, ora da soli

(e i rami dei cespugli

si avvinghiano alle caviglie

e ci bloccano i ginocchi)

chissà dove, chissà dove!

E piove sui nostri volti

silvestri,

piove sulle nostre mani

nude,

sui vestiti leggeri,

sui freschi pensieri

che sgorgano freschi dall’anima

purificata,

sulla bella favola

che ieri

ti illuse e che oggi mi illude,

o Ermione.

 

 

 

 

 

PIANTO ANTICO

L’attività poetica di Giosuè Carducci domina gran parte del panorama culturale italiano della seconda metà dell’ottocento. È, infatti un poeta dell’età del Positivismo e si rifà, a grandi linee al Realismo ed al Verismo.

Egli si assunse un compito gravoso: eliminare dalla nostra letteratura i sentimentalismi e le sdolcinatezze dei tardo-romantici successivi al Leopardi per iniziare un’opera di rinnovamento profonda attraverso lo studio dei classici e cercando di utilizzare uno stile colto e preciso ma che esprima i sentimenti dell’autore.

Le sue liriche fecero del poeta il VATE d’ITALIA perché Carducci si diede a celebrare la grandezza dell’Italia antica. Molte di queste liriche, che a noi non suonano più tanto bene, infatti sembrano troppo retoriche, parlano della nostra storia. Il migliore Carducci, in ogni caso è quello che sa essere intimo, che si ripiega su se stesso ricordando episodi della sua gioventù e la sua famiglia in quegli anni vissuti felicemente in una terra brulla e rude: la MAREMMA TOSCANA.

Fra le migliori rime del Carducci si annovera PIANTO ANTICO, lirica composta in memoria del figlioletto Dante scomparso all’età di tre anni. È un colloquio col figlio ma che resta senza risposta. All’inizio troviamo l’immagine del melograno che fiorisce  nel sole primaverile e questa immagine provoca un inasprimento del dolore che il poeta ha nel cuore perché il figlio non potrà fiorire come quella pianta.

La lirica, infatti risulta divisa in due parti: la raffigurazione della vita che rifiorisce in primavera e la meditazione sulla morte attraverso l’immagine dell’albero diventato il simbolo dell’uomo sulla terra. Alla luce si contrappone il buio, al calore il freddo della terra NERA.

 

L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da’ bei vermigli fior 

 

Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.

 

Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,

 

Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.

PROSA

L’albero verso il quale tendevi

la tua piccola mano,

il verde melograno,

dai bei fiori rossi,

 

nel giardino deserto e silenzioso

è tornato a coprirsi di foglie verdi poco fa

e giugno lo ristora

con  la sua luce e con il calore.

 

Tu, fiore della mia pianta

percossa ed inaridita,

tu della mia vita inutile

ultimo e unico fiore,

 

sei ora nella terra fredda,

sei nella terra nera

il sole non ti rallegra più

né ti risveglia l’amore.